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Siamo un Paese dove c’è una forte asimmetria di potere tra uomo e donna, ancora più rischiosa oggi perché nascosta. Per troppo tempo abbiamo continuato a pensare - lo vediamo spesso scritto nelle sentenze - che gli atti violenti siano frutto di raptus, di una tempesta emotiva. Non è così.
Il gesto della violenza fisica o sessuale, fino alla tragedia dell’omicidio, non avviene all’improvviso, ma è l’escalation in una relazione segnata appunto dalla disparità di potere. Non esserne consapevoli ci fa approntare strumenti non sufficientemente adeguati dal punto di vista della lotta.
Il 34% degli uomini che ammazzano le donne, dopo si suicida. Lo cito per chiedere: quanto può contare l’inasprimento delle pene a chi è già disposto a morire?
Solo una battaglia di carattere sociale e culturale è in grado di cambiare i termini della relazione uomo/donna. Solo così può avere successo e significare qualcosa. Sociale significa promuovere l’affermazione delle donne nella sfera pubblica. Culturale vuol dire combattere e superare gli stereotipi e i pregiudizi che incasellano le donne in un determinato ruolo sociale.
Si fanno convegni, campagne e si parla tanto di violenza sulle donne. E poi?
E poi rischia di tornare il silenzio e se ne occupano coloro che lo fanno abitualmente, gli operatori. La campagna sul numero “1522”, il numero telefonico anti violenza, dovrebbe essere 365 giorni all’anno. Altro che il 25 novembre e basta…

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