Il dubbio ci spaventa. Abituati come siamo - anche per effetto della semplificazione del linguaggio di questi ultimi anni - ad ascoltare persone che sparano sentenze, abbiamo smarrito la ricchezza dell’interrogarsi, anche nel modo più profondo.
In principio fu Socrate. Ma poi arrivarono Cartesio, Kant, Sant’Agostino e Giacomo Leopardi: tutti affascinati dall’arte del dubbio.
Scriveva Leopardi nello Zibaldone: “Piccolissimo è quello spirito che non è capace o è difficile al dubbio“. E mai come in questo momento storico, nel quale siamo bombardati dalle informazioni e da fragili certezze, il dubbio, come metodo di ricerca e strumento di conoscenza, torna di grande utilità.
Ritorniamo a dubitare.
Facciamo lo sforzo di interrogare noi stessi, quando siamo troppo convinti di essere dalla parte della verità, e non riusciamo ad ascoltare le ragioni degli altri. “Io sono fatto così, e non cambio idea…“: quante volte avete sentito questa frase? Bene: sappiate che non è un segno di intelligenza, semmai una prova di debolezza. Perché dubitare è innanzitutto un gesto di forza, di autorevolezza del nostro pensiero.
Poi va distinto il dubbio “sano” da quello “patologico”.
Il primo è quello che trascina con sé una serie di domande prima di arrivare a una risposta soddisfacente; il secondo è nocivo perché si riduce ad un accavallarsi di continue domande alle quali non riusciamo a dare neanche una sola risposta convincente.
Quindi, coltiviamo i dubbi: informiamoci BENE prima di prendere qualsiasi decisione (o firmare cose che non abbiamo letto bene) e cerchiamo di scegliere sempre quelli che ci porta avanti, senza scansare le domande infinite o le soluzioni di comodo, e nemmeno mettere la testa sotto la sabbia per “non voler vedere né ascoltare”, per pigrizia, paura o superficialità. Cosa che fa regolarmente l’80% degli italiani…
Aggiungi un commento
Completa le informazioni sottostanti per inviare un commento
Subscribe to this post's comments feed